Corriere della sera 19 aprile 2006
Prima protesta nell'azienda che pubblicò Negri e la Cederna
Sciopero alla Feltrinelli: «Rotto un tabù»
I commessi: ormai qui è come al supermarket. La replica dell'azienda: «No, il lavoro è migliorato»
MILANO - (... Ce l’hai l’ultimo di Moccia?...) . «... Io sono una delle più vecchie, qui. Sono scappata dal Cile, da Valparaiso, ventun anni fa. C’era Pinochet, la dittatura. Quando sono arrivata a Milano, la prima cosa è stata andare in fondo a questa strada dove lavoro adesso: avevo passato tutta l’adolescenza sognando di vedere piazzale Loreto, dove hanno appeso Mussolini e la Petacci...».
(... Vorrei il libro di Beppe Grillo...) .
«... Non so se si capisce, sono di estrema sinistra. Ho studiato ingegneria, ma adoro la politica. Leggo tutto su Cuba. E Giangiacomo Feltrinelli è sempre stato un mito. In Sudamerica lui era un eroe e io di nascosto avevo letto tutto. Quando mi hanno assunto alla Feltrinelli, per me è stato un grande onore...».
(... Mi dà il saggio di Ginzburg su Sofri?...) .
«... Ma anche questo posto è cambiato, sai? Noi non siamo mai stati commessi. Assumevano solo ragazzi laureati o che si stavano laureando. Gente che doveva conoscere quel che vendeva. Ma adesso, come fanno questi ragazzi? Io che ho il vecchio contratto, posso comprare i libri nuovi col 70 per cento di sconto. Quasi gratis. I nuovi assunti, no: a loro, i manager che sono arrivati hanno ridotto anche gli sconti...».
Libero libro in libera libreria. Con la divisa rossoblù e il badge al petto, l’addetta alle «Novità» Carmen Figueroa Vargas, 40 anni, smista clienti e opinioni nell’interrato del megastore Feltrinelli di corso Buenos Aires. Non le stanno comodi, i panni della banconista. E sabato c’era, o meglio non c’era, anche lei. Le sue due ore d’assenza non entreranno nella letteratura come un Saturday di McEwan, ma a loro modo fanno piccola storia. Il primo giorno di sciopero in mezzo secolo di un’editrice che pubblicò Toni Negri e Camilla Cederna. Il primo abbaio in una chiesa rossa che ebbe fra i sostenitori le coop e fra gli amministratori il fratello di Occhetto.
«Abbiamo rotto un tabù, è stata una cosa liberatoria», a Jonas Onidi, 26 anni, rappresentante sindacale della Feltrinelli Duomo, ancora non pare vero: «C’erano tensioni, ansie, paure. Per molti di noi, boh, un’azienda che si chiama Feltrinelli dovrebbe stare dalla nostra parte. Invece, siamo diventati come un grosmarket...».
I 1.500 dipendenti di Roma e di Piacenza, di Napoli e di Bologna, di Genova e di Ancona si sono messi su un blog e ribattezzati «lavoratori eFFelunga», dove la F è la stessa su cui disquisiva vent’anni fa il Goffredo Fofi del manifesto («ha l’aspetto di un cuspide di freccia»). Sono sfilati a Milano in Galleria irridendo («Carta Più ai clienti, contratto bidone ai dipendenti») le fidelity card feltrinelliane «e un po’ berlusconiane», per protesta contro gli organici ridotti, il precariato, gli orari: «I nuovi assunti hanno turni massacranti - spiega Jonas -, la domenica hanno straordinari più bassi, vengono presi senza integrativo». Ma il punto non sono solo i soldi: «Lavorare qui, un tempo voleva dire avere una grande professionalità. E tutti, nel loro piccolo, si sentivano parte di un’azienda che fa cultura. Poi sono arrivati i manager dell’Esselunga, della Decathlon. La famiglia Feltrinelli s’è affidata a loro. Abbiamo chiesto un colloquio a Carlo, il figlio di Inge. S’è fatto vivo solo un mese fa, per lettera, proponendoci l’improponibile: niente soldi, niente orari, integrativo limitato ad alcuni lavoratori... Tanta durezza non ce l’aspettavamo».
La lotta dura non fa paura. Una casa che ha resistito alla morte del fondatore (saltò sul traliccio di Segrate, 1972) e alla crisi nera dei primi anni ’80, una F sorta e risorta come una Fenice su scoop della letteratura mondiale ( Il dottor Zivago , Il Gattopardo , Cent’anni di solitudine , L’amante ...), un editore che vanta 19 Nobel, duemila titoli e più di cento novità l’anno, non mostra gran turbamento per la protesta: «Siamo in piena innovazione in un mercato asfittico - dice Stefano Sardo, 46 anni, vicedirettore delle Librerie, proprio uno di quei manager arrivati cinque anni fa dalla grande distribuzione -. I megastore sono un successo straordinario, raggiungono un pubblico irraggiungibile con le tradizionali librerie, che pure sopravvivono. Le aziende cambiano velocemente e anche le proteste fanno parte di questo processo di miglioramento.
Una parte dei dipendenti vede scalfite teoricamente, molto teoricamente, certe abitudini. Ma questo è un atteggiamento antistorico: cinque anni fa, in Feltrinelli non c’erano nemmeno i computer. Volevano stare nelle caverne, mentre il mondo va su Marte?». I risultati del rilancio si vedono, l’azienda va e dopo i Feltrinelli Village nei centri commerciali, gli appalti negli aeroporti, arriveranno le vetrine nelle stazioni ferroviarie. Tanto aziendalismo contagia anche a sinistra: perfino le Coop rosse, strappato un manager di casa Inge, si stanno buttando a copiare l’idea, aprendo punti-libri nei supermarket.
La rivoluzione non è un pranzo di gala e il manager Sardo è convinto: «Ci riempiamo la bocca sui pochi libri che si vendono in Italia. Ma appena arriva una novità, escono resistenze anacronistiche». Il sindacalista Jonas non si rassegna: «E io che credevo d’essere un libraio... Quando hanno aperto il megastore di piazza Piemonte, hanno organizzato una convention per noi venditori. C’era un tizio che strillava. Ci voleva motivati, diceva che dovevamo spaccare tutto. Otto ore di lavaggio del cervello. A me s’è gelato il sangue: sembrava di stare a Publitalia».
(... Vorrei il libro di Beppe Grillo...) .
«... Non so se si capisce, sono di estrema sinistra. Ho studiato ingegneria, ma adoro la politica. Leggo tutto su Cuba. E Giangiacomo Feltrinelli è sempre stato un mito. In Sudamerica lui era un eroe e io di nascosto avevo letto tutto. Quando mi hanno assunto alla Feltrinelli, per me è stato un grande onore...».
Protesta dei dipendenti Feltrinelli a Milano (Emmevi) |
«... Ma anche questo posto è cambiato, sai? Noi non siamo mai stati commessi. Assumevano solo ragazzi laureati o che si stavano laureando. Gente che doveva conoscere quel che vendeva. Ma adesso, come fanno questi ragazzi? Io che ho il vecchio contratto, posso comprare i libri nuovi col 70 per cento di sconto. Quasi gratis. I nuovi assunti, no: a loro, i manager che sono arrivati hanno ridotto anche gli sconti...».
Libero libro in libera libreria. Con la divisa rossoblù e il badge al petto, l’addetta alle «Novità» Carmen Figueroa Vargas, 40 anni, smista clienti e opinioni nell’interrato del megastore Feltrinelli di corso Buenos Aires. Non le stanno comodi, i panni della banconista. E sabato c’era, o meglio non c’era, anche lei. Le sue due ore d’assenza non entreranno nella letteratura come un Saturday di McEwan, ma a loro modo fanno piccola storia. Il primo giorno di sciopero in mezzo secolo di un’editrice che pubblicò Toni Negri e Camilla Cederna. Il primo abbaio in una chiesa rossa che ebbe fra i sostenitori le coop e fra gli amministratori il fratello di Occhetto.
«Abbiamo rotto un tabù, è stata una cosa liberatoria», a Jonas Onidi, 26 anni, rappresentante sindacale della Feltrinelli Duomo, ancora non pare vero: «C’erano tensioni, ansie, paure. Per molti di noi, boh, un’azienda che si chiama Feltrinelli dovrebbe stare dalla nostra parte. Invece, siamo diventati come un grosmarket...».
I 1.500 dipendenti di Roma e di Piacenza, di Napoli e di Bologna, di Genova e di Ancona si sono messi su un blog e ribattezzati «lavoratori eFFelunga», dove la F è la stessa su cui disquisiva vent’anni fa il Goffredo Fofi del manifesto («ha l’aspetto di un cuspide di freccia»). Sono sfilati a Milano in Galleria irridendo («Carta Più ai clienti, contratto bidone ai dipendenti») le fidelity card feltrinelliane «e un po’ berlusconiane», per protesta contro gli organici ridotti, il precariato, gli orari: «I nuovi assunti hanno turni massacranti - spiega Jonas -, la domenica hanno straordinari più bassi, vengono presi senza integrativo». Ma il punto non sono solo i soldi: «Lavorare qui, un tempo voleva dire avere una grande professionalità. E tutti, nel loro piccolo, si sentivano parte di un’azienda che fa cultura. Poi sono arrivati i manager dell’Esselunga, della Decathlon. La famiglia Feltrinelli s’è affidata a loro. Abbiamo chiesto un colloquio a Carlo, il figlio di Inge. S’è fatto vivo solo un mese fa, per lettera, proponendoci l’improponibile: niente soldi, niente orari, integrativo limitato ad alcuni lavoratori... Tanta durezza non ce l’aspettavamo».
La lotta dura non fa paura. Una casa che ha resistito alla morte del fondatore (saltò sul traliccio di Segrate, 1972) e alla crisi nera dei primi anni ’80, una F sorta e risorta come una Fenice su scoop della letteratura mondiale ( Il dottor Zivago , Il Gattopardo , Cent’anni di solitudine , L’amante ...), un editore che vanta 19 Nobel, duemila titoli e più di cento novità l’anno, non mostra gran turbamento per la protesta: «Siamo in piena innovazione in un mercato asfittico - dice Stefano Sardo, 46 anni, vicedirettore delle Librerie, proprio uno di quei manager arrivati cinque anni fa dalla grande distribuzione -. I megastore sono un successo straordinario, raggiungono un pubblico irraggiungibile con le tradizionali librerie, che pure sopravvivono. Le aziende cambiano velocemente e anche le proteste fanno parte di questo processo di miglioramento.
Una parte dei dipendenti vede scalfite teoricamente, molto teoricamente, certe abitudini. Ma questo è un atteggiamento antistorico: cinque anni fa, in Feltrinelli non c’erano nemmeno i computer. Volevano stare nelle caverne, mentre il mondo va su Marte?». I risultati del rilancio si vedono, l’azienda va e dopo i Feltrinelli Village nei centri commerciali, gli appalti negli aeroporti, arriveranno le vetrine nelle stazioni ferroviarie. Tanto aziendalismo contagia anche a sinistra: perfino le Coop rosse, strappato un manager di casa Inge, si stanno buttando a copiare l’idea, aprendo punti-libri nei supermarket.
La rivoluzione non è un pranzo di gala e il manager Sardo è convinto: «Ci riempiamo la bocca sui pochi libri che si vendono in Italia. Ma appena arriva una novità, escono resistenze anacronistiche». Il sindacalista Jonas non si rassegna: «E io che credevo d’essere un libraio... Quando hanno aperto il megastore di piazza Piemonte, hanno organizzato una convention per noi venditori. C’era un tizio che strillava. Ci voleva motivati, diceva che dovevamo spaccare tutto. Otto ore di lavaggio del cervello. A me s’è gelato il sangue: sembrava di stare a Publitalia».
19 aprile 2006
17 Comments:
Grazie grazie dottor sardo
per avermi portato fuori dalle caverne ed avermi dato il computer..
io molto contento..
civilizzato e pagato ...
Ma che dire a me risulta che i computer 5 anni fa esistevano in negozio forse il metodo informatico è cambiato o il programma.Ma del resto il dottore che cosa doveva dire no?
le proteste fanno parte del processo di miglioramento se vengono ascoltate.E non se vengono fatte cadere nel silenzio.
Il dott. Sardo ricorda male: 5 anni fa (ma anche 10) i computer in Feltrinelli c'erano.
Venivano usati per lavorare bene. Non governavano gli ordini dei libri, le rese e i rifornimenti e non asfissiavano gli amministrativi e i responsabili con procedure lunghe e complicate.
Ma forse sto parlando una lingua sconosciuta.
Viva Sardo! Jonas vai a coltivare un orto, fonda una comune! E gli altri: rassegnatevi e ringraziate ancora. Sto provocando, ma dico delle verità che fanno male. Ma non vi vergognate? ma lo sapete come vanno le cose altrove?
Publitalia?! Io ne so qualcosa, voi non sapete di cosa state parlando! C'è molta differenza, vi assicuro. Una differenza culturale, ebbene sì.
L'arroganza delle dichiarazioni che il dottor Sardo ha rilasciato al giornalista del Corriere non fa che cementare la voglia di farci sentire con la nostra protesta.
La frase "Volevano stare nelle caverne, mentre il mondo va su Marte..." dimostra come il dottore ed i suoi colleghi dirigenti non abbiamo assolutamente capito, o facciano finta di non capire, l'importanza e la portata delle nostre manifestazioni...Peggio per loro! Abbiamo appena iniziato!
Un'adesione così massiccia agli scioperi dovrebbe far riflettere dei dirigenti seri, e invece loro tentano di farci passare come dei nostalgici incapaci di capire che il tempo passa.
E' per dirigenti come questi che dobbiamo andare avanti a lottare, per chi ha trasformato il nostro lavoro in un'attività seriale e frenetica che pensa esclusivamente al fatturato più alto, da ottenere in ogni modo, anche distruggendo la professionalità e la competenza dei librai Feltrinelli e dei "discai" Ricordi.
Complimenti a tutti e ciao
Una breve risposta agli anonimi che consigliano di guardare altrove prima di lamentarci.
IL PROBLEMA NON E' QUESTO!!
Ci saranno sempre posti peggiori di altri, io stesso ho lavorato in posti peggiori della Feltrinelli, ma ciò non vuol dire che una persona non possa esprimere il proprio dissenso in merito alla situazione nella quale si trova!
Un ragazzo che asfalta le strade ha delle problematiche certamente maggiori rispetto a un dipendente Feltrinelli, ma questo è qualunquismo... Il discorso è più globale e riguarda la precarietà del lavoro nel nostro Paese per tutti i ragazzi giovani che cercano di entrare nel mondo del lavoro...
La condizione di noi lavoratori Feltrinelli è quella di migliaia di altri lavoratori, aggravata culturalmente dal fatto che la nostra Azienda pubblica libri di denuncia contro il lavoro temporaneo per poi applicarlo all'interno dei propri negozi.
Non siamo dei nostalgici che vogliono le bandiere rosse all'interno dei punti vendita, delle statue di Giangiacomo scolpite in bronzo al centro di ogni libreria. Non vogliamo distruggere i computer a martellate e tornare alla carta e alla penna, ed è fastidioso e subdolo che i nostri dirigenti ci vogliano far passare come dei romantici neanche troppo intelligenti che pensano di vivere in un mondo di vent'anni prima...
Credo che ogni lavoratore dovrebbe guardare all'interno della propria condizione per cercare di migliorarla, senza ragionare sul "c'è sempre qualcuno che sta peggio..."
Un caro saluto a tutti
Bernardo Soares
L’ottimo dott. Sardo afferma giustamente “le aziende cambiano velocemente” e che “anche le proteste fanno parte di questo processo di miglioramento”. Su queste affermazioni è, evidentemente, impossibile dargli torto. E però continua, in riferimento ai librai stufi e scioperanti: “questo è un atteggiamento antistorico: cinque anni fa, in Feltrinelli non c’erano nemmeno i computer. Volevano stare nelle caverne, mentre il mondo va su Marte?”. Tralasciando il tono del commento – il che fa riflettere, però, sull’uomo – è interessante rilevare la connessione che il dirigente traccia tra l’innovazione e l’introduzione del computer nelle librerie.
Il dott. Sardo, come qualche collega ha rilevato, non ricorda infatti – e come potrebbe, allora non c’era ancora – che già sei anni fa i computer venivano utilizzati nei punti vendita e forse anche meglio di oggi. Non ricorda l’ottimo programma Alice, superato oggi dal macchinoso Trovatitoli, e non fa notare – il che è indice d’una certa atmosfera di ridicolaggine – che non solo cinque anni fa i computer c’erano ma erano gli stessi che utilizziamo oggi. Tanto per fare un esempio, nella libreria di Piazza Duomo a Milano solo quest’anno s’è provveduto a cambiare tre dei sette computer presenti ai punti informazione mentre i rimanenti quattro sono gli stessi dal 1999. Credo che non serva una chissà quale conoscenza informatica per immaginare che in sette anni l’informatica ha davvero fatto i proverbiali “passi da gigante”.
Questa voce dai librai della Feltrinelli è per me come un risveglio da un brutto sogno. Faccio il commesso in una libreria F.del Centro Italia da due anni. Ci sono arrivato con l'orgoglio di entrare in un'azienda "di sinistra" ma dopo solo due mesi mi chiedevo se ero io che non avevo capito nulla della sinistra. Eppure mi ero informato, avevo letto Senior Service, ero convinto che i valori di Giangiacomo Feltrinelli fossero alla base dell'azienda anche oggi. Povero illuso! E povero Giangiacomo, se vedesse lo scempio! Me ne stavo tutto zitto comunque, e mi sentivo incompreso, contornato da schiere di soldatini obbedienti.Pensavo che ci credessero davvero,che lo spirito di appartenenza li sorreggesse...Che incubo!
Ma da oggi, con questa insurrezione, ho capito che molti la pensavano come me, ma non potevano parlare. Grazie.Un solo appunto: perchè ve la prendete tanto con il dottor Sardo? Io ho avuto modo di conosocrlo e vi assicuro che è persona elegante e colta. Perchè pensate che chi arriva dalla grande distribuzione sia ignorante? Qui siete davvero voi un po' di destra... Guardatevi più vicino, quel Direttore dei Direttori servo dei padroni... Mi ha raccontato il mio direttore che all'ultima convention ha proiettato un video sulla storia della Feltrinelli e molti librai piangevano. Ma io voglio credere che piangessero per la vomitevole retorica, per la patetica leccata di fondello alla Signora presente.Fatemelo credere, vi prego,se no sono daccapo.
Anche se raccontarvi la mia storia mi porterà ad uscire dall'anonimato che comunque avrei volentieri conservato, credo che sia opportuno che tutti quelli che pensano che si possa stare peggio la leggano. Sono certa che al peggio non c'è limite e che noi lavoriamo in ambienti riscaldati o raffreddati a seconda della necessità e che vendiamo libri e non spaliamo escrementi e quindi ci va bene...Ma vedete io lavoro in libreria da 10 anni, per anni sono stata praticamente responsabile di un settore cosa che non è mai stata riconosciuta poi ad un certo punto, per "farmi crescere" hanno cominciato a sbatacchiarmi di qua e di là, sono laureata, nella mia libreria siamo solo in 2 ad avere una laurea. Inutile dire che la mia crescita si è fermata al 4° livello del dopo contratto di formazione. Insomma adesso posso stare in qualsiasi settore senza grossi problemi, ho sempre lavorato bene e tanto, i clienti mi stimavano e nonostante non sia più nel mio settore mi cercano ancora, ho sempre avuto buoni rapporti con i colleghi, almeno da parte mia, sono sempre stata puntuale efficente e veloce. Sono dinamica per natura e non dormo sugli allori. Quindi riassumendo professionalità cortesia puntualità, competenza. Poi ho avuto 2 figli, non ho un compagno che li mantenga, il padre fa un lavoro che lo impegna tutti i pomeriggi e sabato e domenica ho chiesto un part time al mattino, dopo un anno ho dovuto capitolare per tre mattine e tre pomeriggi per 24 ore invece che 30 tutti i sabato lavorativi... i miei bambini vanno al nido che al sabato è chiuso e quando faccio il pomeriggio torno alle 8 e 15, 15 minuti prima che vadano a dormire. Ho dovuto accettare questa forma di part time così svantaggiosa per me per avere la certezza dei turni con largo anticipo viste le problematiche di gestione dei bimbi nei pomeriggi in cui comincio a lavorare quando loro escono dall'asilo. E anche così è un problema, non posso certo permettermi di pagare qualcuno che me li tenga, così mi aiuta mia mamma che comunque ancora lavora...inutile descrivere i salti mortali che sto facendo per far quadrare bilancio famigliare e tempi. L'azienda si è rifiutata di accettare qualunque proposta che mi avrebbe permesso di evere una vita normale con 2 bambini piccoli a carico, la legge Biagi glielo consente, per fortuna che l'hanno fatto secco sennò lo cercavo io... Ma non è finita, da quando sono rientrata, senza nessuna spiegazione sono stata messa con la mia laurea in cassa...competenza qualità cortesia e 10 anni di esperienza tutti lì a battere scontrini. Senza niente togliere alle ragazze della cassa che sono persone eccezionali ma che come me hanno visto gente neo assunta per stare in cassa essere mesa in sala. Mentre noi ci facciamo le nostre giornate da alienate sul nostro sgabello-trespolo. Ho chiesto il motivo, sia della mancata comunicazione per il cambio di ruolo sia della durata della condanna, io vorrei tornare al mio lavoro a quello che so fare bene. Il motivo è che con gli orari che faccio non sono gestibile nei turni di sala...Ma gli orari me li hanno dati loro. Sarei stata disposta a cambiare ruolo se avessero accettato un orario che mi veniva incontro in qualche modo, invece....L'anno avuta vinta su tutta la linea, improvvisamente mi trovo a fare un lavoro che mi fa schifo pagata una miseria con degli orari che mi permettono di vedere i miei bambini 3 pomeriggi la settimana e la domenica quando non lavoro. Caro anonimo che stai peggio dimmi tu quanto peggio perchè io non riesco ad immaginarlo. Vuoi citarmi donne in fabbrica 15 ore al giorno? Siamo nel 2006, ci sono contratti peggio del nostro, ma ci sono forse anche aziende che hanno un po' più di considerazione per i dipendenti che in fondo sono quelli che fanno il grosso del lavoro, io non ho chiesto premi produzione, avanzamenti di carriera, o mirabolanti aumenti di stipendio, ho chiesto solo di poter vivere una vita normale accanto ai miei figli, invece li sta crescendo qualcun'altro...mentre io batto fantastici scontrini e spiego centinaia di volte al giorno come funziona la cartapiù...certo la mia dialettica sciolta mi aiuta molto in questo mio nuovo compito, i clienti sono sempre molto felici di come spiego perchè capiscono davvero bene. Una bella soddisfazione dopo 10 anni di Natali a 10 ore al giorno, all'inizio senza nemmeno il giorno di pausa ogni 6...con 4 domeniche lavorate di fila senza un giorno di recupero...Mi fermo qui sono davvero disgustata.
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