3.07.2006

15/16 Marzo: Assemblee di Milano

ASSEMBLEE NEI NEGOZI di MILANO:
MERCOLEDI' 15 MARZO
MS PIEMONTE, dalle 9 alle 12 in 2 turni da 1 ora e 1/2
LF DUOMO, dalle 15 alle 18 in 2 turni da 1 ora e 1/2
MS BAIRES, dalle 15 alle 18 in 2 turni da 1 ora e 1/2
GIOVEDI' 16 MARZO
RMS GALLERIA , dalle 9 alle 12 in 2 turni da 1 ora e 1/2
sono invitati a partecipare alle assemblee retribuiti ed in rario di lavoro i colleghi di LF Manzoni, FI Cavour e dietro richiesta all' azienda anche i colleghi dei Village
O.D.G.
Lo stato della trattativa con l'azienda per il rinnovo del CIA
Valutazione della "nuova proposta" aziendale
come proseguire il confronto/scontro con l'azienda
Varie ed eventuali
chi volesse leggere la proposta prima dell'assemblea (cosa tra l'altro auspicabile) ha solo da chiederla all'indirizzo del blog (blogeffelunga@hotmail.it) o ad uno dei delegati.

7 Comments:

At 3/08/2006 4:07 PM, Anonymous Anonimo said...

Rilancio la proposta letta in un commento.
In Piazza Piemonte a volantinare durante la presentazione del libro di Prodi.
Li abbiamo graziati a Natale rinviando lo sciopero e i nostri cari dirigenti sono tornati ancora più arroganti imponendoci le trentotto ore..
Ora forse è il caso di farci vedere ancora vivi e brillanti e rompergli le uova nel paniere durante l'incontro con il nostro Prodi..
Tante volte i danni d'immagine sono più importanti di quelli economici che deriverebbero da uno sciopero..ù
Il dibattito è aperto..

 
At 3/10/2006 6:24 PM, Anonymous Anonimo said...

Se vi può essere utile vi giro il testo dell'intervento di Prodi al congresso della CGIL.
Su precarietà e flessibilità mi sembra dica cose molto più di sinistra dei nostri cari manager...
Saluti

Care amiche, cari amici. Si, dobbiamo riprogettare l'Italia. Avete trovato uno slogan bello. Ma è molto più di uno slogan. E' un impegno. Un impegno gravosissimo su questo non possiamo farci illusioni. E questo impegno ce lo assumiamo insieme. Senza neanche bisogno di discutere molto abbiamo raggiunto lo stesso tipo di conclusione sullo stato economico e sociale del Paese. Non credo di sbagliarmi se affermo inoltre che vi sia anche concordanza sulle ricette e le politiche che dopo mesi di lavoro abbiamo proposto nel nostro programma. Dobbiamo far ripartire l'Italia se vogliamo dare risposte adeguate ai tanti problemi della nostra società, creare di nuovo occupazione e benessere, offrire serenità e sicurezza alle famiglie, dare un lavoro vero ai giovani, permettere alle nostre imprese e ai prodotti italiani di tornare ad affermarsi nel mondo. E dobbiamo farlo con assoluta urgenza. Io non uso a cuor leggero la parola declino. Ma neppure posso ignorare che negli ultimi cinque anni tutti gli indicatori sono peggiorati. La manifestazione più evidente del declino è l'abbassamento del tasso di crescita della produttività. Esso negli ultimi cinque qnni -unico paese europeo- ha addirittura assunto valori negativi. Sono gli anni del governo della destra, che ha accompagnato il declino senza contrastarlo, o perché non ha compreso la natura strutturale della crisi che viviamo, o perché non ha avuto la capacità, la voglia, la forza di affrontarne le principali manifestaizoni con poltiche adeguate. Nessun artificio polemico, nessun diversivo propagandistico può mascherare questo fatto. E allo stesso tempo è stato creato un disastro finanziario che costituisce una pesante eredità, purtroppo dovremo fare i conti, che condizionerà il nostro operato. Abbiamo comunque già dato prova di saper affrontare le sfide e i problemi. Nella scorsa legislatura abbiamo realizzato il più grande risanamento finanziario, che ha liberato risorse e che ci ha fatto entrare con merito nell'euro. Quello che abbiamo fatto con tanta fatica è stato spazzato via da un governo che ha pervicacemente insistito su una politica che ha costantemente peggiorato lo stato di salute della nostra economia e aumentato le disuguaglianze sociali. Di qui la prima indicazione. Una politica dei due tempi, che faccia precedre il risanamento finanziario agli interventi per lo sviluppo e la redistribuzine del reddito, non è possibile. Non è possibile perchè se l'economia non torna a crescere diventa inattuabile il risanamento stesso. Ci avviteremmo in una spirale tale da condurre il sistema economico sull'orlo del collasso. L'Italia, voglio affermarlo subito con assoluta convinzione, ha le energie e le capacità per superare la crisi. L'Italia ha bisogno di ritrovare fiducia in se stessa, di ripartire puntando sulle sue grandi potenzialità, di ritrovare il gusto della vittoria. Noi alla sconfitta, a un ineluttabile declino, non ci stiamo. Ma per tornare a crescere, per tornare a vincere, sono indispensabili una grande mobilitazione di tutti i cittadini e cambiamenti profondi nei comportamenti che tengono assieme l'economia e la società. Non bastano piccoli aggiustamenti, occorrono riforme radicali (come ha detto Epifani: "un programma ambizioso"). Non potremo ottenere una ripresa di competitività complessiva del sistema senza profonde innovazioni del sistema produttivo, senza un percettibile miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini, senza un'attenzione nuova alla qualità della vita delle famiglie. E non troveremo le energie per ripartire se non recuperiamo coesione sociale e slancio, se non costruiamo una nuova e più moderna cittadinanza basata sull'etica individuale e collettiva, sull'equità e la responsabilità. Il governo della destrra ci lascia in eredità un paese diviso. Gli italiani sono divisi tra chi ha tanto e chi ha poco; tra chi si è sfacciatamente arricchito e chi si è impoverito; tra chi ha evaso il fisco ed è stato premiato con una raffica di condoni, e chi ha pagato le tasse fino all'ultimo euro; tra chi si è sentito ampiamente confortato dall'azione del governo e i tanti che sono stati abbandonati. Ma un paese spaccato dalle diseguaglianze è un paese cattivo, che non ha futuro. Perciò che deve essere chiaro che è finito il tempo dei condoni, dei facili arricchimenti, dell'evasione fiscale: deve tornare il tempo della giustizia, della solidarietà, dello stare insieme, il tempo del rispetto per il lavoro e per lo studio. In questi anni la politica della destra ha radicato l'idea che evadere l'obbligo fiscale sia la normalità. Noi intendiamo ripristinare anche in questo campo la cultura della responsabilità. Noi lanceremo una lotta feroce all'evasione fiscale e contributiva che in Italia, sotto l'occhio complice della destra ha raggiunto livelli che non si riscontrano in nessun paese civile. Il livello è tale che anche solo il recupero di un terzo dell'evasione risolverebbe molti dei nostri problemi. Lotta all'evasione, dunque, come condizione innanzi tutto di equità, ma anche di efficienza del sistema. Ma l'Italia è anche il paese in cui viene riconosciuto un vantaggio fiscale alla rendita mentre viene penalizzato il reddito prodotto dall'impresa e dal lavoro. Questa è una perversione dei valori che devono animare una moderna società civile. E allora agiremo per rendere uniforme il sistema di tassazione delle rendite finanziarie, escludendo però i redditi prodotti dai piccoli patrimoni frutto del risparmio familiare. E al tempo stesso intendiamo ridurre subito, e sensibilimente, l'eccessivo carico contributivo sul lavoro dipendente, in una misura che ho già avuto modo di quantificare in cinque punti nel primo anno di legislatura. Vogliamo dare una scossa, una frustata al sistema produttivo. Anch'io credo che bisogna partire dal lavoro. Abbiamo proposto una riduzine del cuneo fiscale che andando a beneficio sia delle imprese che dei lavoratori, sarà capace di riagganciarci alla ripresa europea, di avviare un nuovo ciclo di investimenti, di stimolare una ripresa dei consumi. Una riduzione che attenuando di molto la convenienza dei contratti atipici contribuirà a contrarre l'area del precariato. Infatti, abbiamo proposto un'armonizzazione dei carichi contributivi sui diversi tipi di contratto. Voglio dirlo con chiarezza, non siamo contro la flessibilità che serve alle imprese per essere competitive. Siamo però assolutamente contrari a quella flessibilità che, in nome della riduzione dei costi, si traduce in precarietà. Dovremo e saremo capaci di armonizzare flessibilità e stabilità superando, attraverso significative modifiche di quella che è impropriamente chiamata legge Biagi, una inaccettabile precarietà permanente che sta penalizzando una intera generazione di giovani. Una generazione che rischia di essere frustrata nelle sue aspirazioni e di essere condannata ad un domani di pensioni miserevoli. La nuova competizione internazionale, la precarietà del mercato del lavoro e la preoccupazione sulla tenuta dello stato sociale vanno affrontate ridando qualità allo sviluppo, trasparenza e credibilità ai conti pubblici e modernizzando lo stato sociale, ribadendo l'impegno a dare a tutti accesso alla salute, a una buona scuola, a un lavoro di qualità, a una vecchiaia dignitosa. Ma possiamo fare tutto questo solo se il paese ritornerà a crescere sul serio. Dunque, dobbiamo far ripartire l'Italia. Sono ormai 25 anni che il tasso di crescita è in diminuzione. Siamo passati dal 3,6 per cento degli anni '70 allo 0,7 del periodo 2001-2004, allo 0 dell'anno appena concluso. Crescita 0 significa un paese fermo. A partire dal 2001 inoltre è avvenuta una forte redistribuzione della ricchezza che ha penalizzato larghe fasce della popolazione, che hanno visto progressivamente peggiorare le proprie condizioni economiche. La mia priorità è invertire queste tendenze per tornare a crescere in maniera sostenuta, nel mentre viene ripristinato un più corretto e sostenibile equilibrio tra i prezzi e i redditi delle famiglie. Solo con un elevato tasso di sviluppo potremo dare risposta ai bisogni di una popolazione che invecchia e alle speranze di affermazione di tanti giovani e donne. E potremo tornare a conseguirlo agendo su più fronti: ridurre, come ho detto, i costi delle attività economiche, rimodellare il sistema delle imprese, puntare sulla coesione sociale come fattore di sviluppo, liberare energie e risorse. Ridotti i costi delle attività economiche, dovremo affrontare con decisione il problema della struttura del nostro sistema produttivo, concentrato in settori con basso valore aggiunto, con una dimensione delle imprese troppo piccole e un tasso di internazionalizzazione troppo basso. Siamo e dobbiamo restare un grande paese industriale e quindi occorre una nuova politica industriale. Ci concentreremo su quattro elementi: 1) il trasferimento tecnologico per aumentare il tasso di innovazione delle produzioni; 2) la crescita dimensionale delle imprese con interventi fiscali e normative che favoriscano le fusioni, le acquisizioni, la nascita di gruppi e il consolidamento delle filiere; 3) l'internazionalizzazione con sostegni concreti alle imprese che esportano e che affrontano nuovi mercati e con una politica attiva per favorire gli investimenti delle imprese italiane all'estero e delle imprese estere in italia; 4) la nascita e lo sviluppo di imprese in nuovi settori anche con grandi progetti di ricerca cofinanziati dal settore pubblico. Uno dei perni della nuova politica industriale è il rilancio del ruolo dei territori nella formazione di economie e di risorse fondamentali per la produzine, con la riorganizzazione dei ristretti e la costruzione di reti di servizi avanzati per le imprese. Fronte essenziale su cui agire, come ho detto, è quello della coesione sociale come fattore di sviluppo. La coesione sociale è un elemento fondante della qualità civile di una società, un patrimonio che era stato faticosamente costruito e che negli ultimi anni è stato dilapidato. Noi dobbiamo ricostruirlo, ma in una ottica nuova. L'insieme dei servizi sociali, la sanità, la scuola, la previdenza, la stessa distribuzione dei redditi, non sono, nella nuova ottica solo il risultato di politiche di redistribuzione, ma parte integrante di un progetto di sviluppo civile, sociale ed economico del paese. Non possiamo pensare di competere riducendo il livello delle tutele e dei servizi sociali né aumentando gli squilibri nei redditi, ma al contrario, dobbiamo valorizzare i fattori di equilibrio e di coesione della nostra società per favorirne la crescita. I due settori più importanti sono la sanità e la scuola. La sanità non è solo un costo: è un grande settore che occupa centinaia di migliaia di persone qualificate, che produce tecnologia e innovazione. Finché continueremo a considerarlo un costo, l'ottica dominante resterà quella dei tagli. Se invece lo percepiremo come un settore importante della nostra società, fermo restando l'impegno ad un razionale ed efficiente impiego delle risorse, potremo dedicare la nostra attenzione allo sviluppo e alla valorizzazione delle competenze e delle grandi potenzialità. Per il futuro dell'Italia e per il suo sviluppo l'elemento principale è l'istruzione, fattore essenziale per la crescita civile, e nell'età della conoscenza elemento fondamentale per lo sviluppo del paese. dobbiamo investire in conoscenza diffusa, in quantità ed efficacia dei percorsi formativi, cominciando dalle scuole per l'infanzia fino ai livelli più alti restituendo valori e dignità all'istruzione tecnica (mortificati dalla riforma attuata da questo governo) e creando centri di eccellenza. Siamo consapevoli che la scuola è una macchina complessa che ha bisogno di un progetto condiviso e di lungo periodo per dispiegare l'efficacia della sua azione educativa. Dopo dieci anni di riforme e contro riforme è giunto il momento di mettere in ordine e dare stabilità valorizzando a pieno l'autonomia degli istituti e il ruolo degli insegnanti. Ma è chiaro che la riforma attuata in questa legislatura andrà radicalmente cambiata in alcuni dei suoi aspetti. E la competitivtà economica del paese richiede un grande salto in avanti in tutti i settori della ricerca e della innovazione tecnologica. Investire in formazione-ricerca in particolare nelle discipline scientifiche-tecnologiche è l'unico modo per recuperare consistenti squilibri economici e sociali. Vogliamo dare spazio ai giovani nell'università e nella ricerca perché l'Italia ha bisogno di giovani che insegnino e che facciano ricerca con stabilità e libertà e vogliamo stimolare decisamente le lauree in discipline sientifico-tecnologiche anche in relazione al rilancio e alla creazione di distretti tecnologichi collegati con le università, gli enti di ricerca e le realtà produttive del paese. La società e l'economia italiane sono in declino anche perché non valorizzano appieno le risorse umane - giovani, donne, immigrati - oltre che ambientali e territoriali di cui il paese è ricco. Sono energie e risorse che occorre liberare. In Italia i giovani giungono più tardi dei loro coetanei europei sul mercato del lavoro, sono costretti ad una lunga fase di precarietà che per molti rischia di trasformarsi in una condizione permanente. Questi fattori negativi vanno rimossi. I giovani devono accedere al laovoro con anticipo rispetto ad oggi avendo completato il ciclo di studi in tempi più brevi. La flessibiltà è stata interpretata come precarizzazione che non ha aumentato la capacità competitiva del sistema ma lo ha impoverito. In realtà, la società italiana, ha bisogno di meno precarietà ai livelli medio bassi di impiego, mentre necessita di una cospicua iniezione di competizione ai livelli medio alti. Una competizione che premi il talento individuale e la capacità di lavoro, la creatività e la capacità di leadership in una parola il merito. Una competizione orientata a ristabilire il principio di responsabilità. In questi anni la mobilità sociale in Italia si è praticamente arrestata. Dobbiamo farla ripartire perché una società senza mobilità è una società seduta retta da gerarchie sociali consolidate che demotiva le energie nuove e perpetua disuguaglianze inaccettabili. Le donne in Italia partecipano al mercato del lavoro in misura molto minore rispetto agli altri paesi industrializzati, sono penalizzate nei salari e nelle carriere e poco rappresentate nelle istituzioni e nelle sedi decisionali, nonostante il loro livello di scolarità sia in linea con le medie europee. Questa discriminazione priva il paese di una grande ricchezza. I punti chiave da risolvere sono l'accesso, la permanenza nel mondo del lavoro dopo la maternità e le prospettive di carriere e di realizzazione professionale. Va affrontato in maniera decisa il rapporto tra impegno familiare e lavoro, rimuovendo uno degli ostacoli alla natalità e garantendo alle donne e alle imprese una permanente rete di servizi e di normative per sostenere la conciliabilità delle funzioni familiari e lavorative. Per questo, riconoscendo il valore sociale della maternità e della paternità vogliamo dotare ogni bambino di un reddito che aiuti la famiglia fino al raggiungimento della maggiore età e che tenga presente le esigenze delle famiglie numerose. E ci poniamo l'biettivo, nell'arco della prossima legislatura, di aggiungere 3000 asili nido a quelli oggi esistenti. E anche l'immigrazione è una risorsa non pienamente utilizzata. Interi settori dell'economia italiana - agricoltura, alcuni comparti dell'industria, turismo, edilizia e ristorazione - sarebbero già paralizzati senza il contributo di lavoratori stranieri. I timori degli italiani per la competizione sul lavoro e nell'accesso ai servizi sociali non possono essere ignorati, ma possono essere superati con un'immigrazione ordinata e coontrollata numericamente che non leda i diritti di nessuno. Gli assurdi sistemi di accesso e il non governo della qualità dell'immigrazione favoriscono la clandestinità e impediscono la stabilizzaizone e l'inserimento degli immigrati nella nostra società. La Bossi-Fini si è dimostrata una legge demagogica, iniqua, inefficace. Le parole d'ordine di questo governo in materia di immigrazione sono state: chiudere, emarginare, criminalizzare. Noi le sostituiremo con una nuova politica centrata su questi obiettivi: governare, accogliere, costruire convivenza, garantire diritti ed esigere doveri. Il tetto numerico va mantenuto perché il processo va governato, ma dobbiamo rivedere la politica delle quote per una immigrazione di qualità che accolga senza creare clandestinità. Insieme alla selezione dei flussi occorre promuovere e favorire la piena integrazione fino alla cittadinanza. Chi nasce e cresce in Italia deve essere considerato cittadino italiano a tutti gli effetti. Ma anche chi non è nato in Italia e vive e lavora in questo paese deve sapere, se lo desidera e lo vuole, che anche per lui c'è un posto di cittadino. L'acquisizione della cittadinanza italiana deve poter essere un traguardo certo, perché è anche il più efficace strumento di integrazione di cui una democrazia dispone. Qualche giorno fa ho letto l'anticipazione di un libro di tre studiosi che analizza il linguaggio di Berlusconi. Il frutto di questa analisi s'intitola, appropriatamente, "Parole in libertà". Ebbene, analizzando 111 interventi nell'arco di molti anni, i tre studiosi hanno notato, per quanto riguarda il mondo del lavoro, che i riferimenti di Berlusconi a questa sfera non contemplano mai la parola "diritti", mentre appare con frequenza quella di "bisognosi", il che esprimerebbe una visione sociale per cui le dame di carità siano in fondo più utili del sindacato. Per chi pensa che i diritti siano dei lacci che impediscono il pieno dispiegarsi della straordinaria forza del mercato il sindacato è una palla al piede. Noi crediamo invece che i diritti, il loro rispetto, la loro difesa e il loro allargamento siano un motore dello sviluppo. Per questo crediamo che un sindacato forte e unitario costituisca un elemento importantissimo nel garantire l'equilibrio indispensabile a far progredire una società complessa come quella italiana. Certo, il ruolo del sindacato è anzitutto legato ai diritti, alla loro tutela. Ma siamo giunti ad un punto in cui non possiamo pensare che tutelare significhi conservare. Difendere ed allargare i diritti ad un buon lavoro, ad una buona qualità della vita, ad un buon salario, ad una pensione dignitosa, richiede oggi una disponibilità al cambiamento anch'essa radicale. Per questo l'Italia ha bisogno di un sindacato che sia anche portatore di doveri.Di doveri individuali e collettivi, di una nuova etica della responsabilità. Un sindacato che sia allo stesso tempo rappresentante di una parte ma impegnato su obiettivi generali e condivisi. Non chiedo a nessuno di abdicare al proprio ruolo e tanto meno di surrogare il ruolo della politifca. Chiedo al sindacato di continuare ad essere un interlocutore forte, esigente, responsabile ed autonomo. Un sindacato forte è indispensabile non solo per il sistema delle imprese, ma anche per il governo del paese, per poter quindi riattivare il prezioso strumento della concertazione che con grande miopia e cinismo è stato accantonato. Possiamo e dobbiamo lavorare assieme e dobbiamo farlo per il bene nostro, dei nostri figli e dell'Italia.


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At 3/10/2006 6:44 PM, Anonymous Anonimo said...

"...Siamo però assolutamente contrari a quella flessibilità che, in nome della riduzione dei costi, si traduce in precarietà. Dovremo e saremo capaci di armonizzare flessibilità e stabilità superando, attraverso significative modifiche di quella che è impropriamente chiamata legge Biagi, una inaccettabile precarietà permanente che sta penalizzando una intera generazione di giovani. Una generazione che rischia di essere frustrata nelle sue aspirazioni e di essere condannata ad un domani di pensioni miserevoli..."
Dall'intervento di Prodi al congresso nazionale della CGIL...

 
At 3/10/2006 8:16 PM, Anonymous Anonimo said...

volantiniamo......sono d'accordo, volantiniamo con prodi in negozio. potrebbe funzionare!

 
At 3/10/2006 10:05 PM, Anonymous Anonimo said...

bella idea! mi riferisco al volantinaggio ovviamente e non alle chiacchiere elettorali di Prodi.

l'incontro con prodi se non mi sbaglio è giovedì pomeriggio in piazza piemonte. potremmo presentarci davanti al negozio con lo striscione, i volantini e chiedere di intervenire... sai che goduria vedere le facce dei vari dottor. soraci, unieuro, il nanetto... e inge (che immagino non si perderà l'occasione per scolarsi un paio di drink con le sue amichette!!) saranno tutti lì con i brillantini negl'occhi e invece... hahahahahahaaaaa.

rilanciamola sul seri sta storia. mercoledì ci sono leassemblee, parliamone, bastano una ventina di persone e se qualcuno ha già qualche idea per il volantino...

 
At 3/10/2006 10:10 PM, Anonymous Anonimo said...

della par condicio non me ne fotte niente... ma qualcuno potrebbe obbiettare. cmq prodi deve solo morire, magari dopo le elezioni così adempie almeno alla sua funzione antiberlusconi, ma poi appena vinto, fuori dai coglioni lui insieme a tutti gli ex democristiani riciclati... quindi levatelo sto cazzo d'intervento.

 
At 3/10/2006 10:13 PM, Anonymous Anonimo said...

IL VOLANTINO... PRIMA QUALCUNO LO FA PRIMA POSSIAMO FARLO GIRARE NELLE ASSEMBLEE PER LE FIRME E PRIMA POSSIAMO INVITARE AL NOSTRO APPUNTAMENTO...

DAI CHE A QUESTO GIRO LI FREGHIAMO PER BENINO....

 

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