5.13.2006

il loro "evento" o il nostro?!!





davanti al Megastore di piazza Piemonte. una cinquantina di colleghi volantinano, parlano con i clienti e gridano... CONTRATTO! il Megafono rimbomba nel negozio dove si sta svolgendo l'"evento" Feltrinelli. Il loro "evento" è diventato il nostro! ogni volta che il megafono attacca a spiegare le motivazioni dello sciopero Aldo Nove si ferma, il suo silenzio per la nostra voce... poi ricominciava a raccontare le storie del suo libro. un duetto complice per dire alla Feltrinelli che se vuole parlare di lavoro lo faccia con i propri dipendenti in attesa del contratto!!

18.30: entrano in sciopero i colleghi del megastore raggiungendo quelli degl'altri negozi che sono già davanti al megastore...

foto marcos y marcos

10 Comments:

At 5/14/2006 3:45 PM, Anonymous Anonimo said...

Qua ci sono le mie foto dello sciopero.
Ciao e solidarietà per la lotta!

Guido Baldoni

http://www.flickr.com/photos/86969730@N00/sets/72057594134390758/

 
At 5/15/2006 9:33 PM, Anonymous Anonimo said...

BRAVI, BRAVI...
OTTIMO LAVORO!

 
At 5/16/2006 10:48 AM, Anonymous Anonimo said...

Ciao ragazzi
ho scritto un articolo sullo sciopero per il quotidiano Liberazione. E'uscito oggi. Spero possa in qualche modo sostenere la vostra protesta.
http://www.liberazione.it/giornale/060516/default.asp

Baci precari
Claudia

 
At 5/16/2006 11:12 AM, Anonymous Anonimo said...

In Feltrinelli non c'è mobbing, ma "sudditanza psicologica". Scopriamo le relazioni pericolose dei nostri dirigenti, prendiamo esempio dal calcio. Come le partite di calcio, così si possono veicolare lavoro e cultura.

dal corriere delle sera

Le indagini
Così è nata la sudditanza psicologica.
Carriere sotto il segno dei dirigenti più potenti.


MILANO — Finora è stata una definizione da bar dello sport e telerisse davanti alle moviole tv. Adesso è diventata materia d'interrogatori, informative di reato e approfondimenti investigativi. La cosiddetta «sudditanza psicologica» degli arbitri nei confronti della Juventus è il nucleo dell'indagine sul mondo del calcio condotta dai carabinieri che l'hanno chiamata «Off Side», termine da telecronista per indicare il fuorigioco dei calciatori. Ora in fuorigioco sembrano finiti arbitri e dirigenti, per via di quella sudditanza divenuta «pressione» o «coazione» — sempre psicologica —, anticamera dei reati contestati.

L'obiettivo e il movente dell'associazione a delinquere disegnata dai pubblici ministeri napoletani è la veicolazione delle partite (e dei campionati) attraverso le carriere degli arbitri, e la prima conferma è arrivata proprio da un noto fischietto: Gianluca Paparesta da Bari, vittima del presunto «sequestro di persona» dopo l'ormai famosa Reggina-Juve del 6 novembre 2004 e ora testimone d'accusa. Perché la sudditanza psicologica come conseguenza e motore del sistema che ruotava intorno a Luciano Moggi è stata ammessa dall'arbitro interrogato sabato scorso: «La mia categoria, come del resto emerge dalle indagini che state svolgendo, è caratterizzata da una componente di pressione psicologica esercitata dal sistema».

Parlando di Bergamo e Pairetto, Paparesta attribuisce alla gestione dei due ex designatori «una sudditanza degli arbitri nei loro confronti e che veniva vista, a sua volta, come una loro sudditanza nei confronti di un sistema di poteri forti imperante nel calcio e non solo». Il fischietto di Bari rivendica per sé una carriera «basata sulla esclusiva professionalità», e rivela che questo l'avrebbe escluso da «un contesto dove le logiche dei designatori si sposavano con quelle del sistema che vede la più diretta espressione nel dirigente Moggi, il quale risulta avere influenza determinante nelle scelte operate da Bergamo e Pairetto».

Per questo dopo la violenta lite seguita a Reggina-Juventus del 2004, con Moggi che l'aveva preso a parolacce nello spogliatoio (e Paparesta non esclude di essere stato chiuso dentro dall'allora dirigente juventino), l'arbitro non scrisse nulla nel referto stilato dopo l'incontro: «Mi rendo perfettamente conto di non aver rispettato i miei precisi doveri...». Ma la Juventus, prova a giustificarsi Paparesta, sarebbe stata comunque penalizzata per le proteste avvenute in campo e fuori, «e se avessi aggiunto ulteriore aggravamento con il deferimento dei dirigenti avrei indubbiamente compromesso la mia stagione sportiva». Invece lui aveva aspirazioni internazionali, e mettersi contro Moggi non l'avrebbe certo aiutato: «Riconosco che tale valutazione può essere criticata, ma è la più sincera ricostruzione della verità».

E ai carabinieri che chiedono se abbia avuto gli stessi timori quando non c'era di mezzo la Juventus, Paparesta risponde «in modo assolutamente negativo». A riprova delle sue paure l'arbitro cita un precedente di pochi mesi prima, la finale di ritorno di Coppa Italia tra Juventus e Lazio, il 12 maggio 2004, finita 2 a 2 con l'assegnazione del trofeo ai biancocelesti. L'arbitraggio fu criticato dagli juventini, e dopo quella partita lui subì un mese di stop: «Non potei far altro che collegarlo alle lamentele veicolate dai media relative ad una presunta mancata espulsione per doppia ammonizione del giocatore laziale Giannichedda, che i dirigenti della Juventus avevano evidenziato già nello spogliatoio». Prima ancora dell'interrogatorio di Paparesta, gli investigatori avevano scritto nel rapporto inviato ai magistrati che «gli stessi sistemi di autocontrollo (sospensione per uno o più turni, arbitraggio di partite di minore interesse, ecc.) gestiti in totale discrezionalità dai due designatori concretizzano, ormai da lunghi anni, i necessari strumenti di coazione psicologica che comprimono ogni autonomia decisionale in capo al singolo arbitro interessato a entrare e a restare nella lobby del potere arbitrale».

L'oggetto della sudditanza organizzata, insomma, è la carriera dei fischietti utilizzati per guidare l'andamento di una partita e spesso di quella successiva, attraverso le ammonizioni che fanno scattare le squalifiche: si avanza o si indietreggia nella professione (e nei guadagni) a seconda della «capacità di saper fornire adeguate risposte alle esigenze che incombono per tutelare gli interessi di chi deve essere salvaguardato». L'orientamento dei mass media attraverso singoli opinionisti è l'altra rotella dell'ingranaggio, accusa l'informativa dell'Arma. Che può funzionare contro qualche arbitro, ma anche in suo favore. Dopo l'episodio di Reggio Calabria e l'omessa denuncia di Paparesta, Moggi ricevette una telefonata «di chiarimento» dallo stesso arbitro; il dirigente juventino rispose con frasi che «ben evidenziano il potere da lui espresso in termini di gestione del sistema arbitrale», racconta Paparesta, ma lui aveva un obiettivo preciso: «non volevo lasciare strascichi che avrebbero potuto determinare forti penalizzazioni nei miei confronti». Obiettivo raggiunto, a leggere un'intercettazione di tre mesi dopo in cui Moggi dice al "moviolista" del «Processo di Biscardi» Baldas: «Dunque allora, Paparesta esce con tutti gli onori...».

 
At 5/18/2006 11:57 PM, Anonymous Anonimo said...

Feltrinelli, il prezzo della cultura lo pagano gli atipici

I salari non superano i mille euro al mese, i librai sono costretti a fare
da commessi e magazzinieri. Il tutto per uno stage o un contratto a termine

Claudia Russo

L’avevano annunciato e hanno mantenuto la parola. La staffetta anti-precarietà ricomincia. E la rabbia cresce. Tra il 15 ed il 22 aprile scorso, per la prima volta nella storia della catena di librerie e punti vendita che si rifà al marchio della casa editrice fondata nel 1954 da Giangiacomo Feltrinelli (e che comprende anche i megastore Ricordi), si è articolato a scacchiera un giro di massicci scioperi in molte città italiane: Milano, Roma, Napoli, Bari, Torino, Firenze, Bologna, Modena, Cremona, Padova, Piacenza, Parma, Ravenna, Pescara, Brescia, Ancona, Genova …
L’urgenza che ha spinto sindacalisti e lavoratori di diversi livelli a infrangere il tabù e indire il primo sciopero della Feltrinelli-story, si articola in diversi punti e sarebbe riduttivo farlo coincidere esclusivamente con il rinnovo di un contratto che si aspetta da oltre un anno.

Primo problema è la mancanza di personale che costringe i librai, già diventati commessi, a trasformarsi all’occasione in veri e propri magazzinieri tuttofare. Quando pochi anni fa è stato aperto il ricchissimo punto vendita di Largo Argentina a Roma i dipendenti appena assunti (dopo almeno tre colloqui diversi) si sono trovati a dover allestire l’intero megastore trasportando e scaricando loro stessi libri, dvd, cd e quant’altro prima di poter cominciare a svolgere l’attività per la quale erano stati assunti (a tempo determinato, ovvio).

A questo si aggiunge il dramma del salario “da fame” che non supera i 1000 euro al mese per chi ricopre il ruolo di responsabile di reparto ed è assunto full-time con regolare contratto (testimonianza raccolta a Milano), turni di lavoro decisi all’ultimo momento in pieno stile precario (15 giorni di anticipo, e si lavora anche la domenica) e un clima pesante e intollerante. «Mi sentivo completamente annullata, svuotata di qualsiasi spirito di iniziativa. Controllata dall’alto da un ignoto mister X che a noi ultimi arrivati non era dato di conoscere» dice la ventiseienne di Milano che ha lavorato come stagista per 5 mesi e poi si è sentita dire che non c’era posto per lei nell’azienda.

«Ci trattano come dipendenti di un supermercato. Carlo Feltrinelli e sua madre Inge si occupano della casa editrice e non della rete vendita. Sono un po’ troppo assenti» si legge nel blog (www. effelunga. blogspot. com) vero strumento di lotta politica new stile creato dai dipendenti di quella che fu Feltrinelli e ora non è altro che Effelunga.

Tantissimi i contributi e le testimonianze provenienti da tutta Italia. Ci sono i protagonisti e gli organizzatori degli scioperi, ci sono i crumiri, ci sono anche i clienti tra coloro che scrivono sul blog. Non mancano polemiche e opinioni contrastanti sulla sospetta sovrapposizione dello sciopero di giovedì 11 maggio organizzato davanti al Megastore di piazza Piemonte a Milano alla presentazione-evento dell’ultimo libro sul precariato di Aldo Nove. Ogni volta che il megafono attaccava con gli slogan di protesta lo scrittore si fermava e viceversa in un duetto usato come “sponda mediatica” di una protesta assolutamente legittima cui il libro “Mi chiamo Roberta. Ho 40 anni. Guadagno 250 euro al mese” può fare da utile spalla.

Ma come si è arrivati a tanto malcontento? La lenta ma inesorabile trasformazione della Feltrinelli in Effelunga, spiegano gli scioperanti, inizia verso la fine dei Novanta quando a ricoprire le cariche più importanti della direzione vengono assunti una serie di manager provenienti dalle catene della grande distribuzione, anche alimentare, come Esselunga e Decathlon: «La Feltrinelli frutta e verdura, la precarietà non fa cultura!» recita il corteo. Se nel 2001, già esasperati dalle condizioni di lavoro, i dipendenti non avevamo firmato il contratto proposto dall’azienda, oggi hanno deciso di fare di più: hanno deciso di scendere in piazza e di parlare. E’ stata chiaramente denunciata una disparità di trattamento tra chi è stato assunto prima del 2001 e chi dopo. Gli appartenenti al primo gruppo hanno la quindicesima e i buoni sconto sui libri fino al 70%, per gli altri la percentuale è di gran lunga inferiore e di quindicesima non si parla. Questa mobilitazione, concepita secondo i principi della continuità nel tempo come arma di lotta, sta facendo tanto e tanto ancora farà con il prossimo giro di scioperi.

Lo sforzo allora sarà quello di pensarla e di pensarci, noi lavoratori e lavoratrici di tutte le età e provenienza, in un’ottica più ampia. Distaccandoci dalla rabbia di laureati che hanno sostenuto tre rigidi colloqui consecutivi per un contratto flessibile, pensiamo a quanta rabbia ancora servirà per incidere su un sistema talmente radicato nelle nostre coscienza da sfuggire ai più. Chi di noi non è stato almeno una volta un cliente Feltrinelli? Chi di noi non ha la Carta Più, dal nome così allettante e in linea con i nostri rapaci principi di accumulo delle proprietà?

 
At 5/20/2006 9:17 PM, Anonymous Anonimo said...

noooooo la juve anche qui!!!!!basta!!!1

 
At 5/21/2006 10:26 AM, Anonymous Anonimo said...

Francamente sono un po allibita e lo dico con tutto il rispetto per il
sacrosanto diritto di scioperare quando i diritti dei lavoratori sono lesi.
In un momento storico di crisi generale dove le aziende/società che chiudono
determinando nuovi disoccupati (magari di oltre 40 anni per cui è molto
difficile trovare un altro lavoro)sono sempre di più, la feltrinelli rimane una
delle poche realtà che tiene e prolifera. Certo qualche azione preventiva per
evitare il peggio è necessaria.
Vedo parecchie persone con sopravvivono adeguandosi a contratti atipici (senza
tutte le agevolazione del tempo indeterminato che voi avete: TFR; malattia e
ferie pagate; indennizzi; tredicesima; garanzie contro il licenziamento) che non
se ne lamentano e fanno il meglio che possono. Me compresa.
Ripeto, ciò non vuol dire che si debba alzare la voce se i propri diritti sono
lesi, ma non mi sembra questo il caso. Questo mi sembra la classica situazione
in cui, ottenuto il giusto, si esasperano le richieste rischiando di far perdere
di credibilità la corretta ed iniziale richiesta.
Dirò di più, da affezionata cliente delle librerie feltrinelli, e per lavoro
giro parecchio mi servo in negozi feltrinelli di varie città, ho assistito a
manifestazioni di rara maleducazione da parte dei dipendenti, in particolare nel
negozio di Piacenza. Ho avuto il piacere di vedere all’opera un dipendente che
trattava i clienti in modo indicibile, prendendoli visibilmente in giro e non
avendo un benché minimo di rispetto. Per poi lamentarsi a voce alta che lui
pretende un trattamento migliore.
A queste persone consiglio un corso veloce di aggiornamento sul rispetto
ricordando che non è lecito pretendere anche l’eccesso quando professionalmente
si è poco seri e svogliati.
Alle persone invece che mettono passione nel loro lavoro (e il vostro è un gran
bel lavoro) auguro che la minoranza di cui sopra non rovini questa occasione di
migliorare il proprio trattamento lavorativo e contributivo. Ricordando con
umiltà e sincerità che oggi la stragrande maggioranza degli italiani vivono ben
più serie situazioni e verrebbero volentieri a lavorare al loro posto.

 
At 5/21/2006 10:31 AM, Anonymous Anonimo said...

“Effelunga”: è geniale! C’è molta più verità nei contributi del vostro blog che in tutti i volumi dei vari sociologi, politologi, analisti e grandi firme dell’asfittico panorama culturale italiano. Penso in particolare alla testimonianza di B.B., stagista di Siena (4 maggio 2006) e all’“intercettazione telefonica” del 25 aprile, nella quale cade a proposito il ricordo di Luciano Bianciardi.



Il problema è: che fare? A mio parere, andare oltre. La rivendicazione dei diritti, lo scandalo della sinistra padrona vanno benissimo, potrebbero anche servire – forse – a dare tranquillità economica ai lavoratori oggi in lotta. Come quando, negli “anni formidabili” di Capanna gli sfrattati piantavano la tenda in piazza del Duomo a Milano, nasceva lo scandalo ed ecco che arrivava la promessa di un alloggio. Ma il problema degli alloggi permaneva, anzi s’incancreniva, anche perché permaneva il cosiddetto “equo canone”, che in realtà era una furbata iniqua a vantaggio soprattutto dei borghesucci che con i soldi risparmiati sulla prima casa si compravano poi la villetta con annesso il giardino arredato dai nanetti di gesso.



Bisognerebbe andare oltre, con molta generosità. Da parte di tutti: in primis, però, da parte di chi gode di posizioni di privilegio sindacalmente protette. Non si tratta di auspicare una guerra tra poveri e neanche tra poveri e quasi-ricchi (le impiegate con diritti sindacali sono le uniche che possono permettersi il lusso di fare un figlio). Si tratta di ragionare. L’ipersfruttamento dei precari è una conseguenza diretta dell’inefficenza di milioni di parassiti: manager, reggicoda dei manager, reggicoda dei reggicoda e impiegatucci determinati a far carriera diventando gli aguzzini dei precari e dei collaboratori esterni. Le masse impiegatizie inerti sono un problema per la nazione, esattamente come lo era il clero prima della Rivoluzione francese. La grande industria in Italia (e con essa le case editrici, sempre più concentrate e globalizzate) trova conveniente celebrare riti aziendalistici periodicamente rinfrescati con nuove formule ripescate dal latinorum mal digerito del linguaggio markettaro, fa blocco sociale con le masse impiegatizie inerti e sfrutta senza ritegno i precari e i giovani. Così loro sopravvivono, cioè credono di sopravvivere, e se gli altri muoiono chissenefrega.



Perciò, dicevo, occorre generosità. Si rendano conto i garantiti che i loro interlocutori sono i precari, molto più dei “padroni”, con i quali intrecciano schermaglie sindacali di parata, perché i precari potrebbero perdere la pazienza e allora altro che ’68! Accettino di fare un lavoro utile, visto che prendono uno stipendio. Eventualmene, facciano anche loro il lavoro dei precari, che è sempre un lavoro utile, siano flessibili anche loro, una volta tanto (queste cose ormai le ha capite anche Veltroni, a quanto pare). Avremo un’economia rivitalizzata, ci sarà lavoro per tutti. Soprattutto si domandino se il lavoro che fanno è utile: è un loro dovere.



Lo so che è un discorso difficile. Chi lo fa, per non essere accusato di esser nemico dei lavoratori (quali?) di solito è costretto a far mille premese e distinguo, con il risultato di riuscire incomprensibile. Anche qui, occorre generosità, bisogna non aver paura di offuscare la propria immagine di “anima bella”.



Sulla perniciosità dei manager, in particolare nell’industria editoriale, potrete trovare diversi contributi nel sito “Comminus eminus” (per arrivarci, basta digitare queste due parole su Google, oppure fare “clic” cul collegamento ipertestuale, che però non sono sicuro che venga conservato nel blog). In particolare:

Manager e sindacalisti uniti nella lotta per distruggere le aziende

L’industria editoriale ieri e oggi

Su Bianciardi e l’industria editoriale:

Per Luciano Bianciardi, scrittore ed eroe

In bocca al lupo, compagni di sventura

C.P
Consulente editoriale

 
At 5/21/2006 9:43 PM, Anonymous Anonimo said...

Da Feltrinelli ad “ Effelunga”: sciopero!!!

Sabato 15 Aprile sono iniziati i primi scioperi a scacchiera per il rinnovo del contratto integrativo (CIA) dei lavoratori feltrinelli e ricordi.
La nostra lotta ha suscitato l’interesse dei mezzi di informazione, dei clienti e delle persone che abbiamo avuto modo di incontrare durante i nostri scioperi e volantinaggi sia perché si è trattato del primo sciopero dei dipendenti contro l’azienda in 50 anni di storia che per la forte percezione di un grosso cambiamento sotto le insegne Feltrinelli
La forte espansione commerciale del gruppo non è passata inosservata: 1 libro su 4 è venduto da Feltrinelli che è diventato il 9° gruppo al mondo per la vendita di prodotti culturali. Dopo la fusione con Ricordi e l’acquisizione delle librerie Rizzoli, le librerie tradizionali hanno lasciato il posto a nuove tipologie di negozio: i megastore che costituiscono la grande scommessa economica dell’azienda, i negozi nei centri commerciali (Feltrinelli Village) e quelli nelle stazioni. La dequalificazione del lavoro è lo specchio di questo processo: i nuovi negozi non hanno più bisogno di librai ma di lavoratori giovani, intercambiabili e flessibili mettendo in secondo piano quella qualità del lavoro e del servizio che ha sempre caratterizzato Feltrinelli. La trasformazione aziendale sta proiettando in tutto e per tutto Feltrinelli nel panorama della grande distribuzione e non è un caso che i dirigenti alla guida di questa trasformazione provengano da grandi catene commerciali.
La firma del CIA del 2001 ha rappresentato un passaggio centrale di questa trasformazione. I diritti storicamente acquisiti vengono mantenuti per i lavoratori in forza e cancellati per i nuovi assunti.
La discriminazione che questo contratto ha generato è oggi evidente soprattutto nelle grandi città dove i “nuovi assunti” costituiscono la maggior parte dei lavoratori.
La nuova organizzazione del lavoro genera malcontento tra molti di noi. Nasce l’esigenza di confrontarsi anche in vista della scadenza del vecchio CIA. Diffidiamo del sindacato (lo scotto del precedente contratto bidone è ancora forte) così decidiamo di autorganizzarci. Assemblee generali e un questionario distribuito a tutti contribuiscono a elaborare in maniera orizzontale e collettiva la piattaforma rivendicativa per il nuovo contratto: chiediamo l’estensione del CIA a tutti i colleghi che ad oggi ne sono esclusi, una regolamentazione della turnistica che non sacrifichi la qualità della vita, incrementi salariali e garanzie rispetto a mansioni e qualità del lavoro.
È dopo l’elaborazione della nostra piattaforma che cominciano i rapporti con le strutture sindacali: in alcuni grandi negozi vengono elette le RSU per creare un minimo di coordinamento con i delegati delle altre città e perché al di fuori della dialettica sindacato-impresa, rigorosamente concertativa, sarebbe stato difficile e forse prematuro far valere la nostra autorganizzazione fino in fondo imponendoci come controparte all’azienda. Gli scontri tra delegati e CGIL in una prima fase sono anche forti. Ai funzionari nazionali, abituati a valutare i rapporti di forza in funzione del numero di tessere, la nostra determinazione non sembra legittima. In realtà sul piano dei rapporti di forza siamo stati in grado di incidere costringendo il sindacato a sostenere le nostre rivendicazioni, anche se solo temporaneamente.
Presentiamo la nostra piattaforma all’azienda che la respinge totalmente proponendone una propria. Evidentemente credono di poter riproporre il modello del 2001 accentuando le discriminazioni e senza concedere nulla, sicuri di una rapida ed indolore conclusione della vertenza.
Le cose però sono cambiate: le assemblee respingono la loro proposta e indicono uno sciopero di 8 ore per il sabato prima di natale (il giorno con il maggior fatturato dell’anno). L’azienda fa un passo indietro presentando una nuova proposta che viene giudicata come terreno plausibile di trattativa. I funzionari nazionali sospendono lo sciopero. A gennaio si riapre la trattativa ma la proposta che aveva determinato la sospensione dello stato di agitazione è cambiata, in peggio. Una perentoria lettera di Carlo Feltrinelli elimina ogni margine di trattativa. Il 30 Marzo il coordinamento nazionale dei delegati dichiara riaperto lo stato di agitazione secondo il vecchio principio “il minor danno per noi, il maggior danno per l’azienda” reputiamo più incisivo scioperare a scacchiera, per 2 o 4 ore al massimo paralizzando a rotazione e senza preavviso i negozi quando questi sono più vulnerabili. Dilazionando lo sciopero moltiplichiamo il danno! Dal 15 aprile in tutta Italia cominciano a susseguirsi gli scioperi. Le adesioni sono molto alte spesso i negozi chiudono e quando ciò non accade è grazie alla presenza dei direttori e di personale mandato dalla sede o da altre città.
Anche l’attacco al marchio feltrinelli assume un ruolo centrale. In questi giorni il blog che abbiamo aperto qualche mese fa si rivela uno strumento formidabile: i lavoratori si scambiano informazioni, materiali, commenti e riflessioni, testimonianze anonime con lo scopo di colpire l’immagine dell’azienda e di tenersi costantemente aggiornati sull’andamento degli scioperi nelle diverse città. il blog suscita curiosità anche al di fuori dei nostri negozi e una grande irritazione tra i dirigenti perché lo stesso nome “effelunga” (ironica sintesi di Feltrinelli e Esselunga) contribuisce a disvelare le contraddizioni interne alla più grande azienda culturale del paese. Abbiamo rotto il silenzio scioperando per la prima volta, ci abbiamo preso gusto e continueremo fino a quando l’azienda non tornerà sui suoi passi.

http://www.ecn.org/uenne/

 
At 5/23/2006 1:02 PM, Anonymous Anonimo said...

si hai ragione..di cosa ci lamentiamo, abbiamo la malattia , le ferie e ci pagano pure puntuali tutti i mesi..
di cosa ci lamentiamo quando esistono milioni di precari senza malattia e ferie...
e di cosa si lamentano i precari senza diritti che almeno un lavoro lo hanno rispetto ai tanti che lavorano in nero senza la certezza di essere pagati...
e di cosa si lamentano tutti i lavoratori in nero se ci sono un sacco di disoccupati che farebbero il loro lavoro per la metà della paga...
è questi immigrati che vengono al nostro paese e chiedono diritti, dignità e permessi di soggiorno quando vengono da paesi in cui c'è la guerra e si muore per un raffreddore...

smettiamola di lamentarci è tutti in ginocchio da Carlo Fetrinelli e dai suoi dirigenti, noti filantropi che ci fanno vivere negli agi e negli ozii pagandoci, unici al mondo, ferie e malattie..
e della qualità del lavoro, dei diritti per i nuovi assunti fottiamocene che tanto c'è chi sta peggio...

 

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